Simone Inzaghi poteva essere una leggenda del club, se ne va lasciando un senso di incompiuto (e lasciandoci con l’ignoto dinnanzi).
Partiamo dalla fine, dal 5-0 con cui l’Inter ha perso la finale di Champions League contro il PSG. Una sconfitta fragorosa, storica. Nessuna compagine in nessuna competizione internazionale aveva mai perso una finale internazionale con un risultato di questo tipo (qualcuno ha pescato la sconfitta del Milan contro l’Ajax per 6-0 nella Supercoppa UEFA 1973, ma allora si giocava andata e ritorno).
Simone Inzaghi perde la sua seconda finale di Champions League in tre anni, con l’enorme differenza che contro il Manchester City aveva forse anche meritato di vincere, ma contro il PSG ne è uscito devastato – macchiando un percorso magnifico, tra girone con una sola sconfitta e fase finale con le storiche vittorie contro Bayern Monaco ai quarti di finale e Barcellona in semifinale. Non che sarebbe cambiato troppo perdere un’altra volta 1-0: una sconfitta, si converrà, è sempre una sconfitta.
A posteriori, vedendo quanto successo nei giorni a seguire e considerando quanto successo nella settimana precedente l’incontro, qualche retropensiero (come s’è usato dire nell’avvelenato finale di stagione della serie A) può sorgere: Inzaghi aveva ricevuto un’importante offerta dall’Arabia, divenuta pubblica alla vigilia della gara più importante della stagione dell’Inter, contro una squadra con una proprietà araba.
La squadra, in campo, è parsa non esserci dal primo minuto – e non ricordo nel quadriennio una gara con meno occasioni da parte dei nerazzurri (ricordo vagamente un Inter-Empoli 0-1, ma non ricordo fosse nella stagione dello scudetto del Milan o del Napoli e non importa verificarlo in questa sede). Tutti i calciatori sono stati ampiamente insufficienti, per l’ilarità dei tifosi avversari, felici del trionfo del PSG (una felicità misera che ben conosciamo avendo visto perdere la Juventus molteplici finali) e della caduta dei nerazzurri (in questo caso, quindi, alla felicità del gufo si aggiunge l’aggravante della poca onestà intellettuale nel giudizio: un esempio su tutti – le critiche su Dimarco, un terzino che rimane magnifico e lo dimostrerà in futuro).
Finita la gara, Simone Inzaghi è apparso dimesso ed ha fatto intendere quello che lo scrivente non avrebbe mai voluto immaginare: “Se andrò al Mondiale per Club in America? Io sono venuto qui per educazione e rispetto nei vostri confronti. Non so rispondere a questa domanda. Vedremo nei prossimi giorni con la società”
Dopo aver vissuto male tutta la settimana precedente la gara, quando temevo più il futuro che la gara contro il PSG, le parole di Inzaghi m’hanno dato la certezza che qualcosa fosse finito. L’incanto nei miei occhi verso Simone Inzaghi era finito, come quando finiscono le storie d’amore.
E non per la finale persa, chissenefregadellafinalepersasonointerista, ma per questo cambio di atteggiamento da parte di Simone Inzaghi – come quando vedi la tua donna parlarti come non l’avevi mai sentita parlare prima e capisci che qualcosa è cambiato per sempre.
Dispiace, anzi spiaze, per diversi motivi:
perché si pensava fosse a metà di un ciclo, perché prima delle voci sull’Arabia non aveva mai accennato ad un addio e perché Marotta aveva detto così (lo diceva lo scorso luglio: “Ha iniziato un ciclo qualche anno fa e penso che non siamo arrivati nemmeno a metà. Abbiamo tanta voglia di continuare insieme, perché se lo merita. Siamo felici di lavorare con lui come Simone è felice di lavorare con noi”).
Perché i cicli, noi crediamo, devono essere perlomeno quinquennali, come i famosi piani, sennò di cosa parliamo? Anche perché, dopo quattro anni, la valutazione non è la stessa di quella che daremmo dopo cinque o sei o sette anni (noi gli avremmo dato il tempo indeterminato, prima che si spezzasse qualcosa). Siamo certi che in cinque, sei, sette anni la bacheca si sarebbe rimpinguata ulteriormente – anche perché al netto di questa stagione ha sempre portato in bacheca qualcosa.
Invece se ne va con una stagione da zero tituli: un cammino fenomenale in Champions League terminato come abbiamo già detto e come tutti sanno, un campionato per un punto (un punto!) dopo tante occasioni perse per essere davanti al Napoli e tanti derby persi (tra cui quello in semifinale di Coppa Italia) dopo aver sfiorato il record del maggior numero di derby consecutivi vinti. Se ne va nel momento peggiore, in pratica.
Se ne va per il vile denaro, che figurati molti di noi venderebbe chi di loro più caro per molto meno ma il denaro non è tutto – soprattutto quando comunque si guadagnano cifre importanti e quando si potrebbe entrare nella leggenda e non solo nella storia.
In effetti, Simone Inzaghi rimarrà nella storia, come ha scritto l’Inter nel comunicato stampa di commiato (“Inzaghi è uno degli allenatori con il maggior numero di partite nella storia del Club nerazzurro, insieme ad altri nomi illustri tra cui Herrera, Mancini, Trapattoni e Mourinho. Esattamente come gli altri membri esclusivi di questo novero, Inzaghi ha contribuito significativamente alla crescita del palmares interista e passerà per sempre alla storia come il coach che ci ha portato alla conquista della Seconda Stella”).
Rimarrà nella storia per la sconfitta più fragorosa in una finale, ma anche per il 65% di vittorie alla guida dei nerazzurri (più di tutti prima di lui). Rimarrà per la seconda stella, per il più bel calcio espresso nella storia dell’Inter (e non solo a mia memoria, che di storia di Inter vista in prima persona ne ricordo poco più di un trentennio) e anche per le tante occasioni perse, quest’anno e non solo (pensiamo allo scudetto perso contro il Milan, per la famigerata papera di Radu).
Peccato se ne vada con questo senso di incompiuto (siamo nella storia, non nella leggenda) e ci lasci con la paura dell’ignoto.
Ma abbiamo vissuto momenti ben peggiori e tradimenti più difficili da digerire, l’ignoto non ci può inquietare più di tanto.
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