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Sergio Battistini racconta: “Rischiammo veramente la B. In Europa invece era un’altra cosa”. E la gabbia di Orrico…

L’ex Milan e Inter Sergio Battistini si racconta e parla dei trionfo europei, della retrocessione sfiorata e dell’esperienza con Orrico in panchina.

Nato a Massa nel 1963, Sergio Battistini ha conosciuto il calcio che conta a Milano, sponda Milan, esordendo in prima squadra a soli 17 anni, dopo essere stato prelevato da giovanissimo dalla Massese in coppia con Alberico Evani.

Ma se Evani diventerà bandiera del Milan (con 13 anni in rossonero) Battistini di stagioni in rossonero ne vivrà sei, con il trasferimento nel 1985 a Firenze, prima del ritorno a Milano nel 1990. Ma stavolta è nerazzurro il colore della maglia che Battistini vestirà: per lui quattro stagioni con la maglia dell’Inter con 155 presenze e due coppe Uefa, ma anche il brivido di una salvezza all’ultima giornata (per l’Inter sarebbe stata la prima e unica retrocessione nella storia, per Battistini sarebbe stato un clamoroso bis – anzi tris – dopo le due retrocessioni con la maglia del Milan).

Come raccontato di recente in un’intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport: “Sono quelle annate storte. L’anno prima siamo arrivati secondi dietro al Milan, c’era Bagnoli in panchina. Lui e Trap sono stati tra gli allenatori migliori per me. Ma il secondo anno abbiamo avuto qualche problemino, quando non si andava bene c’è stato il cambio ed è arrivato Marini. Abbiamo sofferto tanto, se non pareggiamo in casa con la Roma rischiamo veramente la B. In Europa invece era un’altra cosa. E abbiamo battuto il Salisburgo nella doppia finale”.

Interessante frattanto il racconto circa il metodo alternativo d’allenamento ideato da Corrado Orrico, allenatore dell’Inter per metà stagione 1991/92, noto altresì come la “gabbia”:

“Era un campetto, tipo il doppio di uno da calcetto. Con le sponde e la palla non usciva mai, non si fermava. Però se giochi solo in 20 metri e a testa bassa manca la profondità del lancio. Era un sistema per poter velocizzare il movimento, il pensiero, tutto. Ma se stai sempre con la testa giù, non è che poi la alzi e vedi un compagno che scatta e lo lanci. Era un’idea particolare, però nel calcio le partite le vincono i giocatori. Guardiamo la Nazionale adesso. Possiamo prendere anche il Mago Zurlì. Ma se non fanno giocare gli italiani in Italia, l’allenatore può arrivare fino a un certo punto”.

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